lunedì 22 luglio 2019


Omaggio a N. G.

Io sono convinta di non sapere quasi niente e quel po’ che so tendo a dimenticarlo. A volte mi convinco di non amarlo oppure mi dimentico che lo amo e glielo dico e penso che ne resterà distrutto. Lui non ne rimane distrutto perché sa già sempre tutto quello che mi accade dentro, mentre io credo di rivelargli chissà quale terribile segreto. Non sono le cose che sa a distruggerlo ma quelle che non sa, dietro alle quali si strugge e diventa smunto e pallido finché non le capisce. Quando litighiamo io arrivo ad odiarlo, lo odio davvero e senza riserve. Lui invece aspetta, angosciandosi, che torni a casa e fuma le mie sigarette e beve le bevande che bevo io e legge i libri che stavo leggendo. Io in preda alla furia sono sicura di lasciarlo e proprio quando ne sono più sicura mi assale una nostalgia lancinante e penso a lui non in ricordi precisi ma in una nube di sensazioni in cui lui è un vapore tiepido e benefico che avvolge tutte le cose e tutte le cose rende immensamente necessarie e tenere.
Quando stiamo bene insieme lui è felice e ha quel muso soddisfatto da gatto al caldo, io invece mi chiedo tutto il tempo se stiamo bene per davvero o è forse che ci abituiamo. Lui sa che me lo chiedo in testa continuamente, allora mi dice che stiamo bene insieme per davvero e quando lo dice io capisco che quella è la verità con cui lui ha un rapporto amico e spontaneo, io invece no, avendo fin da bambina difficoltà a distinguere tra quella e i mondi che tengo inventati nella mente.
Quando ancora viveva dai suoi, la madre lo svegliava ogni mattina con il latte caldo e lo investiva di chiacchiere e di fatti. Io non mi sveglio mai quando esce di casa la mattina presto, ma a volte è lui che mi porta il caffè caldo, felice di fare con me come sua madre con lui, e però non mi parla di chiacchiere e di fatti perché a entrambi non piace parlare appena svegli. Amiamo però discorrere in certi momenti e a lungo di noi, delle vite nostre e dei nostri amici. Io da vicino, accalorandomi molto e prendendo tutto molto a cuore, lui da lontano senza mai scaldarsi per nulla. È nelle sue calme e nelle sue ire molto democratico, prendendosela con l’uno o con l’altro senza pregiudizio ma solo col suo giudizio immediato, che è sempre all’inizio molto sicuro e netto. È in verità un moderato, anche se lui si ritiene mediocre. Così mi disse una volta, come dice tutte le cose su di sé, come fossero dati di fatto che nulla hanno a che fare con lui. Quei suoi dati di fatto lo fanno però soffrire in un modo silenzioso e sotterraneo. Io non penso che sia mediocre nel senso che si dice lui e in nessun senso. Penso invece che abbia il dono di cogliere con la sensibilità sua cose molto complicate e spiegarle nella maniera più semplice. Io invece affronto le cose più semplici rendendole enormemente complesse.
Lui e io piacciamo sempre molto ai nostri vari padroni di casa, perché siamo giovani e ci vogliamo molto bene. Una volta una di loro, francese, mi disse quando eravamo sole a bere un succo d’arancia in giardino, che lui le piaceva perché era humaine. Io pensai che era quello che piaceva anche a me più di tutto in lui. Piacciamo molto anche ai nostri amici più giovani, che vengono i pomeriggi nella nostra casa e quando ci guardano vedono come qualcosa di stabile e terrestre. Noi ci guardiamo e ci sorridiamo con estrema dolcezza ed è allora che sappiamo bene quante volte ci siamo sballottati nel nostro mare in tempesta e quante volte abbiamo rischiato di cappottarci con tutto quanto, e in quel momento ci sentiamo quasi eroici nell’aver solcato con coraggio il nostro amore.
Siamo entrambi molto melodrammatici e “melodrammatico” è un aggettivo che ci piace ripeterci un po’ con scherno un po’ con rispetto. Io lo sono con grandi furie e scene e urla, lui sprofondando a volte nel più nero pessimismo, scoppiando da lì dentro in pianti da bambino, quelli in cui navigano, annacquate, parole sconnesse e in quelli lui vuole solo restare a piangere e che lo si abbracci.
Era lui una volta un gran reazionario, più per una fedeltà di principio che per convinzione. È infatti una persona che ama l’ordine e che le cose siano sistemate al proprio posto, potendo restare a guardare per ore quei video in cui gli oggetti si incastrano perfettamente oppure vengono tagliati lungo precise linee rette. Io sono inglobata dal disordine, interiore e esteriore. Ma in quel caos primigenio, in cui galleggio come un feto, vedo pianeti e costellazioni e mi sembra di capirli chiaramente per un attimo prima che mutino e si cambino in un caos nuovo e sconosciuto. In quel disordine mi colpiscono, pure, come meteoriti dei pensieri fissi in certi periodi della mia esistenza, dei tigni, delle battaglie che mi rendono coraggiosa, insofferente, generosa e cattiva. E così passo lunghi pomeriggi a pensare della costituzione,del libero amore etero e omosessuale, del valore del femminismo oggi, della necessità di inclusione dell’altro. Quando scrivo però prevale la rabbia e finisco a scrivere per lo più parole infuocate contro i razzisti, i maschilisti, gli opportunisti e i furbi. E ce l’ho sempre e in maniera lamentosa e scontenta con tutti i potenti e i governi che si sono succeduti.
Lui ora è un po’ meno reazionario e a me piace pensare che è per quelle parole infuocate che io gli dico in quei lunghi pomeriggi in cui scrivo contro. Ma in verità penso che sia rimasto deluso dall’ordine e da quelli che lo professavano, avendo visto che è tutto un caos e nessuno è sincero o fa bene quello che dovrebbe fare. Certe volte vagheggia di fare un governo con a capo sé stesso e mi dice che io sarei il primo ministro o il ministro dell’istruzione. Io gli dico che non mi va di fare il primo ministro e in generale nessun ministro, solo magari se ci fosse un ministro dell’ascolto e io potessi mettermi lì ad ascoltare una a una le persone per capire cosa chiedono e se lo sanno davvero quel che vogliono.
Lui è capace di piacere a qualunque essere umano si fermi a parlare un po’ più a lungo con lui, di qualunque età, genere e convinzione sia, e io penso che è per quel suo essere humaine che diceva la francese. È aperto e fermo nell’ascoltare, ma non condiscendente. Io, invece, quando le persone mi si confessano, mi affretto subito a giustificarle ai loro occhi, pensando che in quel momento soffrono e che sta a me alleviare la loro sofferenza. Lui è di una bontà profonda, intatta e inestirpabile, ma a volte si incattivisce su piccole cose come i bambini, diventando allora maligno e dispettoso. È però, quando glielo si fa notare, capace di pentirsi e ammettere naturalmente il proprio torto. A me costa moltissimo ammettere il mio torto ed è per questo che vivo attentissima a non far torto a nessuno, ma la cosa a volte mi dà una grande spossatezza. Le persone che mi vogliono bene dicono che anche io sono profondamente buona, ma io non lo credo e faccio con lui lunghi pianti per il fatto che sono una persona orribile e cattiva. Lui mi consola e non crede affatto che io sia orribile e cattiva, allora mi sento ancora di più una menzognera, capace di ingannare chiunque.
Lui ha l’idea di sé stesso come una persona molto ordinata, pratica e fattiva. Non è in realtà, al di fuori del lavoro, nessuna di queste cose, perdendosi nella vita domestica nelle più piccole minuzie. La nostra casa è piccola e piena di roba buttata un po’ ovunque, con su una parete una grande scatola marrone con un armadio a muro da montare su cui lui riponeva grandi speranze di riordino, ma che non abbiamo mai più montato dopo averlo allegramente comprato. Abbiamo anche molti quadri senza cornice che teniamo stesi come tovaglie su una grossa consolle di legno e un piccolo quadro di un certo Lemonnier francese che abbiamo preso a Parigi e che ci rende molto fieri perché è il primo e solo quadro di autore che abbiamo comprato, e ci piace ripeterci “il nostro Lemonnier” come fosse un grande quadro di un noto autore. Quando lui, stanco delle robe accatastate e del poco spazio, dice che dobbiamo trasferirci e mi trascina a vedere case grandi, brutte e impersonali, io gli dico “ma non abbiamo mai appeso nemmeno i quadri!” con un tale tremolio accorato nella voce che lui si sgonfia e dice che va bene, traslocheremo un’altra volta. Intanto i quadri restano lì, stesi come tovaglie, e ogni giorno ci passiamo davanti e pensiamo di appenderli ma non lo facciamo.
A tutti e due piace viaggiare, ma lui lo farebbe in modo svagato, impreparato e libero. Io invece devo studiare il posto, studiare gli hotel e scrivere in una lista tutto quello da portare. La prima gita che facemmo insieme, lui mi disse che saremmo andati per un giorno nella natura e mi indicò un’oasi piena di alberi e di cascate. Indossai allora, in modo che a me pareva appropriato, un pantalone verde militare con molte tasche e una maglietta pure verde militare e avevo sulle spalle uno zaino e un sacco. Quando gli aprii la porta lui scoppiò a ridere, e poi per l’intero giorno tutte le volte che mi guardava in mezzo agli altri vestiti normali. Ancora oggi quando ci ripensa viene preso da una così genuina allegria che io quasi lo invidio e vorrei essere stata lui in quel momento in cui gli ho aperto la porta in pantaloni militari verdi e maglietta verde e sacco in spalla.
Mi piace di noi quel modo che abbiamo di avvertirci anche quando non ci capiamo e litighiamo su di noi o su un certo nostro amico, su un fatto di politica o sull’educazione di ipotetici figli che forse avremo. Succede le volte in cui litighiamo seriamente, e io tremo di rabbia e lui fuma e beve e legge, che pare che siamo lontani nel tempo e nello spazio pure essendo nella stessa stanza e allora è come se quel nostro avvertici sia relegato in un sotterraneo minuscolo che io vedo come da una finestra lontana e penso che sarà troppo stretto e che questa volta non riusciremo a tornarci. E quel nostro sbatterci e urlare l’uno contro l’altro è nient’altro il tentativo di entrambi di tornare in quel sotterraneo in comune e la paura di perderlo. Ma poi succede sempre che l’uno o l’altro ci torni e la finestra allora è come se si allargasse e la sentissi all’improvviso vicinissima nel cuore. Quelli sono i nostri momenti migliori, in cui ci sentiamo più veri e coraggiosi e ridiamo e piangiamo e tutto il mondo alla fine entra in quel sotterraneo che è diventato enorme, caldo e accogliente.
Quando ancora non stavamo insieme era per me lui il metro di paragone di tutti gli altri uomini e però sempre lo sfuggivo. Lui invece sapeva fin da ragazzo che era me che voleva e questo non lo faceva fuggire, guardandomi nella mia fuga sempre da un punto che a me pareva lontano, solido e fisso. Se gli succedeva, però, qualcosa di brutto io soffrivo come fosse successo a me stessa, e tornavo a consolarlo in quel punto solido e fisso e mi ci trovavo bene come se ci fossi sempre rimasta.
Io qualcosa so e qualcosa ricordo, ma a volte penso di non ricordare e ho paura del mio cuore muto, arido e vuoto. Lui davvero non ricorda, avendo una memoria che è sottile e acquosa, ma il suo cuore è sempre pieno, irrorato e coltivato come un giardino. Lo ricordo in ogni evento importante della mia vita, vicino a me, con la sua faccia tranquilla, lieta, speranzosa e viva. Non ci diciamo mai niente riguardo al futuro, io perché il futuro me lo figuro sempre pericoloso, nero e difficile, lui perché sa che i piani a lungo termine mi rendono selvatica e spaventata come in trappola. E però se dovessi immaginare il futuro, sarebbe per me in quel sotterraneo con una sola finestra e dentro sempre ci sarebbe lui, come in tutte le cose importanti della mia vita, con quei suoi occhi amorosi, lieti, speranzosi e vivi.