venerdì 7 ottobre 2016

Alle donne e agli uomini della mia vita

            Sappiatelo uomini della mia vita, creature umane bellissime e straniere, che io ancora non ho imparato a vivere, forse ancora non ho imparato che bisogna vivere. Ma c’è una cosa che so, uomini miei, uomini e donne che mi appartenete, so che imparerò. E non saprò neppure di aver imparato.

 C’è una cosa che ho saputo. Senza accorgermene, naturalmente, mentre vivevo: L’ineluttabilità. La vita è questa qui, che io la impari o che non la impari, che la riconosca o non la riconosca, che la guidi o la faccia scorrere. La vita è questa ed è qui. Ho imparato, miei cari, l’ineluttabilità e il tempo che involgarisce tutto perché tutto rende finito o ripetibile. Potrò sfuggire al tempo? Voglio farlo? Non so. Questo e qui sono mura e torri alte, è difficile starne fuori. Sempre che io lo voglia.

Sappiate, uomini che influenzate la mia esistenza, che io non so, soprattutto non so che devo morire e che a un certo punto la terra sarà senza di me e gli uomini della mia vita saranno uomini e basta perché tutto ciò che si agglomerava intorno a me scoppierà, si separerà, perderà me, la sua unità.
Cosa siamo allora? Forze aggregatrici? Creatori di insiemi e ponti di unità? Costruttori bellissimi di castelli di legami? Modellisti accurati di piccoli creati in miniatura, ripetenti minuziosamente la creazione in grande di dio. Manovali artigiani della piccola creazione?

Io so, miei esseri, che un uomo che nasce nasce agli altri uomini e nasce già posseduto e che già possiede e poi incontra e ancora viene posseduto e ancora possiede e viene perso e guadagnato e perde e guadagna. Ma non so il valore di ciò che perde e ciò che guadagna e non so la durata, la natura e la forma. E so che se sapessi questo, io avrei imparato la certezza e io e la mia vita cambieremmo completamente, una volta e per sempre, definitivamente.

Io non so nulla, care persone della stessa vita, ma so ammirarvi e amarvi e so desiderarvi, a volte so anche biasimarvi. Non riesco a odiarvi. E anche se non vi trattengo sappiate che in qualche modo vi tengo, anche se non vi cerco sappiate che  in un certo punto della mia vita vi ho trovato e vi ho conservato. Cosa salvare della precipitosa esistenza umana se non questo? Cosa fa eternità se non rubare e nascondere un ingranaggio al meccanismo che tutti porta all’arresto?



          Di che materia siete fatti, uomini che popolate il mio spirito e i miei desideri? Cosa lasciate in me, cosa conformate? E’ sangue carne spirito o amore?
Siete così complesse, nature mie umane. Vi tengo vi tengo e sempre mi sfuggite. Dove ve ne state? Come fate a mostrare sempre una sola faccia?


Eravate come ombre e vi ho visto che vi fingevate uomini e io ero fantasma pure e pure mi fingevo uomo e ci sfioravamo e non ci toccavamo, io non sentivo nulla, voi non sentivate. Come posso toccare veramente gli uomini? Come posso sperdere quei fantasmi, costringerli a smascherarsi, denudarli gridando: Non mentire tu sei uomo. Mostrati a me, non temere. E come faccio io stessa a non temere che gli altri mi si mostrino?

Io vi voglio carne nella mia carne, vita della mia vita, io vi voglio innestare nelle mie carni come pezzi vivi di una creatura mitologica. Non separatevi da me, condividiamo organi e pensieri. Come faccio a non perdervi? Come. Faccio. A non. Perdervi.


Devo perdervi. Del resto perdo me, continuo a perdermi, lasciandomi indietro come pelle vecchia. Vuota sulla strada, fredda e vuota, esistita, mentre la me stessa palpitante e accesa procede avanti e si fa nuova pelle.
Devo perdervi e recuperarvi, perdervi e recuperarvi. E perdermi e a volte recuperarmi.

Restate vicini però, restate vicini quando vi perderò. E  fate che io vi riconosca.


Nessun commento:

Posta un commento