Sappiatelo uomini
della mia vita, creature umane bellissime e straniere, che io ancora non ho
imparato a vivere, forse ancora non ho imparato che bisogna vivere. Ma c’è una
cosa che so, uomini miei, uomini e donne che mi appartenete, so che imparerò. E
non saprò neppure di aver imparato.
C’è una cosa che ho
saputo. Senza accorgermene, naturalmente, mentre vivevo: L’ineluttabilità. La
vita è questa qui, che io la impari o che non la impari, che la riconosca o non
la riconosca, che la guidi o la faccia scorrere. La vita è questa ed è qui. Ho
imparato, miei cari, l’ineluttabilità e il tempo che involgarisce tutto perché
tutto rende finito o ripetibile. Potrò sfuggire al tempo? Voglio farlo? Non so.
Questo e qui sono mura e torri alte, è difficile starne fuori. Sempre che io lo
voglia.
Sappiate, uomini che
influenzate la mia esistenza, che io non so, soprattutto non so che devo morire
e che a un certo punto la terra sarà senza di me e gli uomini della mia vita
saranno uomini e basta perché tutto ciò che si agglomerava intorno a me
scoppierà, si separerà, perderà me, la sua unità.
Cosa siamo allora? Forze
aggregatrici? Creatori di insiemi e ponti di unità? Costruttori bellissimi di
castelli di legami? Modellisti accurati di piccoli creati in miniatura,
ripetenti minuziosamente la creazione in grande di dio. Manovali artigiani
della piccola creazione?
Io so, miei esseri, che un
uomo che nasce nasce agli altri uomini e nasce già posseduto e che già possiede
e poi incontra e ancora viene posseduto e ancora possiede e viene perso e
guadagnato e perde e guadagna. Ma non so il valore di ciò che perde e ciò che
guadagna e non so la durata, la natura e la forma. E so che se sapessi questo,
io avrei imparato la certezza e io e la mia vita cambieremmo completamente, una
volta e per sempre, definitivamente.
Io non so nulla, care
persone della stessa vita, ma so ammirarvi e amarvi e so desiderarvi, a volte
so anche biasimarvi. Non riesco a odiarvi. E anche se non vi trattengo sappiate che in qualche modo vi tengo, anche
se non vi cerco sappiate che in un certo punto della mia vita vi ho
trovato e vi ho conservato. Cosa salvare della precipitosa esistenza umana se
non questo? Cosa fa eternità se non rubare e nascondere un ingranaggio al
meccanismo che tutti porta all’arresto?
Di che materia siete
fatti, uomini che popolate il mio spirito e i miei desideri? Cosa lasciate in
me, cosa conformate? E’ sangue carne spirito o amore?
Siete così complesse,
nature mie umane. Vi tengo vi tengo e sempre mi sfuggite. Dove ve ne state?
Come fate a mostrare sempre una sola faccia?
Eravate come ombre e vi ho
visto che vi fingevate uomini e io ero fantasma pure e pure mi fingevo uomo e
ci sfioravamo e non ci toccavamo, io non sentivo nulla, voi non sentivate. Come
posso toccare veramente gli uomini? Come posso sperdere quei fantasmi,
costringerli a smascherarsi, denudarli gridando: Non mentire tu sei uomo.
Mostrati a me, non temere. E come faccio io stessa a non temere che gli altri
mi si mostrino?
Io vi voglio carne
nella mia carne, vita della mia vita, io vi voglio innestare nelle mie carni
come pezzi vivi di una creatura mitologica. Non separatevi da me, condividiamo
organi e pensieri. Come faccio a non perdervi? Come. Faccio. A non. Perdervi.
Devo perdervi. Del resto
perdo me, continuo a perdermi, lasciandomi indietro come pelle vecchia. Vuota
sulla strada, fredda e vuota, esistita, mentre la me stessa palpitante e accesa
procede avanti e si fa nuova pelle.
Devo perdervi e
recuperarvi, perdervi e recuperarvi. E perdermi e a volte recuperarmi.
Restate vicini però,
restate vicini quando vi perderò. E fate che io vi riconosca.
Nessun commento:
Posta un commento