Voi parlate tanto di libri ma non
sapete neanche che sapore hanno.
Ne avete mai mangiato uno? Voi state lì a
guardarli, li girate, li rigirate, gli date un’annusatina, una leccata, timida
con la punta della lingua, li pesate sul palmo della mano. E passate quei primi
istanti a soppesarli, ne individuate gli ingredienti, la perfezione degli
odori, delle proporzioni.
Ma via, sprecate quei primi fondamentali istanti a
parlarci sopra al libro, a mettere la vostra testa dietro la sua copertina.
Ma
via buttatevi, azzannateli, mordeteli, divorateli, affondateci la bocca. Dal
libro deve colare sangue e succo sul vostro mento, sul bavero, sul petto.
Non
ci deve essere rispetto per i libri ma un sacrificio. Un sacrificio cruento,
una fusione.
Mi avete chiesto in che modo li leggo io i libri. In questo modo
carnivoro: potrei disperderne brandelli , far colare il succo ma io li voglio,
li desidero dentro di me, provo piacere.
Mi avete chiesto che cos’è leggere. Leggere è tutti quegli atti totalmente umani, bassamente umani, è un meraviglioso
atto di piacere. Leggere è mangiare, è l’atto sessuale, è ingestione e
espulsione.
Voi siete i sacerdoti del
libro, i custodi di quel luogo sacro. Ma via! Il libro è un sacro da profanare: profanatelo,
riempitelo di umano, pisciateci in quella chiesa.
E non venite a dirmi che
leggete ad alta voce, che sottolineate le righe più belle, che piegate le
pagine che vi sono piaciute. Così trattate un libro come un libro: sapete di
essere lì, di averlo in mano, sapete che quella parte vi piace più dell’altra,
sapete che quel libro finirà, che è destinato a finire. Come si fa a perdersi
quando quegli atti vi ricordano sempre a voi stessi? Come si fa a fondersi,
sciogliersi, mischiarsi e ricomporsi col libro, se tenete sempre una penna in
mano e un tigno in testa, trovare le parti più belle. Affermate voi stessi sul
libro quando dovreste tacervi e basta, e stare ad ascoltare. Ascoltate, siamo
condannati ad essere noi stessi per la vita, siamo stati noi stessi dalla
nascita alla crescita, saremo noi stessi nella morte. Non siete stanchi? E’
come avere sempre una sola vista, un solo orizzonte, un solo suono, un solo
odore da annusare e riannusare, un solo tessuto da palpare e ripalpare.
Voi
siete voi, sempre pieni di voi, attaccati da nuguli di voi stessi che vi si
ficcano negli occhi, non sentite il bisogno di uscire da voi stessi, non
sentite il limite di vedere un mondo sempre infilati in un sacco che siete voi,
che ha la vostra stoffa?
I libri sono i buchi, buchi in cui spiare, i buchi da
allargare e finalmente uscire, uscire a vedere come sarebbe il mondo se voi non
ci foste. Cos’altro vi dà la possibilità di esistere smettendo di esistere? Di
guardare l’esistenza senza doverla sempre filtrare per voi stessi, di conoscere
finalmente altro. E’ l’unico modo per conoscere altro e non sempre il solito
composto stantio, impastato con parti di voi.
Mentre voi parlavate di testa, io
pensavo di viscere. E il mio pensiero di viscere spiava attraverso l’ombelico e
vedeva cieco, perché l’ombelico non ha pupille: è un occhio cavato, vede
sentendo, e ricordando.
E il mio ombelico mi ha ricordato che il mio rapporto
con i libri passa da lì, nel sentimento di un cordone tagliato. In quella
sensazione fantasma che hanno le persone che hanno perso un arto, mutilato,
quando sentono di poterlo muovere ancora.
Il mio rapporto coi libri è un
rapporto ombelicale, vi ho detto. Cosa significa, mi avete chiesto. Non lo so,
non l’avevo mai detto prima ma ho sentito che era vero mentre lo dicevo. E ho
sentito che era vero quando voi ricostruivate l’etimologia di autore, autore-
autorità, all’origine del libro c’è un’autorità che pone. Lì ho smesso di
ascoltarvi perché c’era una vocina-me che mi dava fastidio e volevo chiarire
con lei perché la smettesse di borbottare con quello squittio sommesso. “Autorità,
autorità- diceva- bella scoperta. Tutti hanno bisogno di un’autorità. E’
un’autorità che pone anche noi stessi quando ci partorisce continuamente no? Non
puoi pensare che una volta per tutte tu sia bello e partorito, no no. Sarebbe
troppo difficile essere sé stessi ogni giorno da soli, senza alcun aiuto
esterno. Autorità, autorità si certo. L’autorità ci serve, noi veniamo
partoriti continuamente dall’autorità.” Eh? Non potei trattenermi dall’interromperla,
volevo che si sfogasse da sola e si esaurisse, come al solito. Volevo
continuare ad ascoltare voi che ora parlavate di metodi di lettura lenta ma non
mi sono saputa trattenere. Lei a fatica ha represso un mugolio di vittoria. “Si
si si- mi ha detto con voce sibilante che voleva essere suadente- si autorità.
Tu lo sai cosa fai quando leggi un libro?” Ero affascinata, diceva cose
sconosciute che sapevo benissimo. “Entri in un ventre. Oh si si si. Tu ti accucci
in quel ventre e ti attacchi il tuo cordone. E non sei più completo, non sei
più autonomo, sei feto. Dipendi in tutto e per tutto dal libro che ti sfama. Tu
puoi provare solo bisogni fisici tutto il resto dei sentimenti non ti
appartiene più, vedi quello che vede la Madre, senti l’esterno solo ovattato
dal suo ventre, non senti più il tuo interno, come se non esistesse più. Senti
il suo interno, quello della Madre.
Ti sei chiusa nell’utero, piccolo essere molle e informe, ti sei chiusa nell’utero, si si si, ora ti
muovi se si muove lui, respiri la sua aria, l’interno e l’esterno non sono più
tuoi. Sono i suoi.” Avevo gli occhi
spalancati e continuavo ad ascoltarla inebetita, fingendo di sentire voi.
Momenti di nulla, vuoto di te, dipendenza fetale. Aveva ragione. Esisti e non
esisti, esisti o non esisti, non ha importanza, aveva ragione. E poi il libro
finisce e vieni espulsa fuori, ogni parto è traumatico ma è anche liberatorio.
E quando esci sei sempre tu eppure ti sei accresciuta, sei stata in gestazione.
I libri sono così, ti tengono in una continua gestazione. E le madri? Le madri che creano quegli uteri? Che ti offrono quegli uteri? Santo cielo - pensai - gli scrittori non sono altro che madri in affitto.
I libri sono così, ti tengono in una continua gestazione. E le madri? Le madri che creano quegli uteri? Che ti offrono quegli uteri? Santo cielo - pensai - gli scrittori non sono altro che madri in affitto.
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