mercoledì 6 luglio 2016

Piccolo racconto d'antan

Nanny 
del passaggio all'età adulta




La signora Maria, la fruttivendola, e Clotilde che lavorava nella lavanderia si salutarono lungo la strada e si vennero incontro. “Come siamo eleganti stamattina, tutta in ghingheri!” disse Maria con un sorrisetto “ Hai ricevuto anche tu l’invito di Nanny?” L’altra annuì e cacciò un foglio di quaderno strappato su cui erano scritte poche righe e lesse “ E’ gradito l’abito scuro.” Sorrise divertita, Maria sollevò le spalle come a dire non ne so niente e fece cenno di avviarsi. In piazza c’erano già parecchie persone sedute sulle sedie pieghevoli che avevano portato da casa. Nanny allo sbocco della via principale accoglieva tutti educatamente, con la faccia contrita e lo sguardo insolitamente cupo, come se fosse sulla soglia della casa di un morente. Le due donne dopo averla abbracciata andarono a cercare le comari che le avevano conservato dei buoni posti, passando una diede una gomitata all’altra e indicò un lungo buffet fatto di più tavoli coperti da tovaglie di plastica dove c’erano bibite, salami e pizze rustiche “bene bene bene” disse Maria soddisfatta.
La folla parlottava allegra in attesa, tutti avevano rispettato la richiesta dell’abito elegante e ora commentavano le varie mises. La signora De Leonardi aveva persino messo la grande spilla di diamanti che indossava solo a Pasqua e ai funerali di famiglia.
Uno scampanellio e arrivò Annamaria come fosse una fata, scese dalla bicicletta e tenendola con una mano abbracciò forte Nanny con l’altro braccio “Come stai, dolcezza mia?” le chiese teneramente, Nanny si limitò a scuotere la testa in modo doloroso. Non voleva parlarne. Annamaria le sorrise dolcemente e disse solo “ Vado a posare la bici”.  Annamaria era la ragazza più bella del paese, era una gloria locale, la ritenevano perfino più bella delle ragazze della televisione perché era viva e reale, chi te lo diceva che quelle erano davvero come apparivano in tv? Esclamavano tutti, perfino gli uomini. Annamaria era la cugina di Nanny, aveva pochi anni più di lei. Quando fu vicina al lampione un ragazzo le si fece subito incontro e le chiese se poteva occuparsi lui della bici, lei non disse niente ma gliela lasciò con indifferenza e forse con una punta di fastidio.
Quando furono arrivati tutti, tutti quelli che potevano lasciare il lavoro, agli altri gliel’avrebbero raccontato il giorno dopo, Nanny avanzò con un tavolo quadrato tra le braccia e lo mise davanti alle sedie, al centro della piazza, a mo’ di palco. Ci si sedette sopra, poi si issò prudentemente in piedi e tossì. Si fece silenzio. “ Grazie per essere intervenuti così numerosi” disse. Non saremmo mai mancati, pensarono molti. Nanny aveva quindici anni e sotto molti aspetti era una ragazzina normale, molto bruna, cicciottella, non si poteva dire che era brutta ma non aveva una bellezza che colpiva a prima vista, come quella dei quadri di Botticelli o quella di Annamaria. Tutti la chiamavano Nanny, sin dalla nascita, ma lei si chiamava Giovanna e si firmava così sotto gli inviti che distribuiva ai compaesani. Sotto molti aspetti era una ragazza come le altre, dunque, ma non per tutti. Aveva un nonsoche, un pizzico di anormalità, di diversità, forse di follia. Fatto sta che quel po’ di strano e indefinito che aveva faceva sì che la sua piccola vita non passasse inosservata come tutte quelle della sua età e che tutti la tenessero d’occhio e ognuno a suo modo le volesse bene. Era benvoluta dalle sue compagne perché aveva sempre qualcosa di buffo da dire e poi non aveva niente che potessero invidiare. Era benvoluta dai ragazzi perché non era qualcosa di alieno come tutte quelle del suo sesso e non avevano paura di lei, e non volevano far colpo su di lei. Era adorata dai  pensionati della piazza perché parlava con loro e li ascoltava ma non in modo condiscendente come quelli del volontariato della domenica, li ascoltava come uomini e non come vecchi, come vecchi involucri di fatti passati. Era benvista da tutti i negozianti e fin da piccola ogni volta che poteva li aiutava in negozio e gli faceva sembrare più bello quello che facevano, e loro erano felici di avere qualcuno a cui insegnare che non temessero di sottrarre al lavoro perché non era stipendiata. Piaceva ai suoi professori non perché fosse particolarmente brava a scuola, anzi in alcune materie andava decisamente male, ma perché era l’unica allieva che parlasse a loro come uomini e non solo come contenitori di scienza e dispensatori di voti e autorità. E poi portava gli struffoli a natale e le chiacchiere a carnevale. Nanny faceva degli ottimi dolci, le aveva insegnato la vecchia Sesa, la fornaia, qualche mese prima di morire.
“Purtroppo l’evento per cui vi ho chiamati qui non è lieto. Si tratta di una perdita, si tratta di un funerale.” Continuò Nanny con tono solenne. Il chiacchierio che pizzicava la piazza si arrestò, l’atmosfera di festa gelò. “Che vuoi dire, Nannì? Chi è morto? Non abbiamo visto nessun manifesto.” Fece un uomo seduto in prima fila, “ Tu l’hai visto?” chiese al vecchio alla sua destra che disse di no “E tu?” fece alla donna alla sua sinistra che scosse la testa. Si sollevò un vociare perplesso. Nanny, insolitamente grave, alzò le braccia in modo teatrale, chiedendo il silenzio “Non ci sono manifesti ma è morto qualcuno che conoscevate” Si levò un urlo “Peppino! Dove sta Peppino?Non l’ho visto oggi!” teste agitate si voltarono di qua e di là, “Oh, so’ qua! So’ qua!” disse un vecchio con la coppola in testa e due denti in bocca, tutti si quietarono di nuovo, guardando Nanny preoccupati. Lei parlò  “ E’ morta la vecchia Nanny, la Nanny che voi tutti conoscevate.” Il cambiamento fu repentino. I volti tesi e tirati si rilassarono, le teste smisero di cercare persone assenti tra le sedie vuote, qualcuno si mise più comodo sulla sedia, altri parlottarono vivaci. Le cose erano tornate alla normalità, di nuovo tutto ciò che si aspettavano era una bravata di Nanny, che era puntualmente arrivata. Ci furono persino delle risatine trattenute. Nanny parve non notarle, parve non notare alcun cambiamento nell’atmosfera generale e continuò seria nel suo vestito nero troppo grande per lei, probabilmente prestatole da qualche signora del paese di grossa corporatura.
“Alfredo” disse all’improvviso la ragazzina “ Ti ricordi la Nanny che rideva a veder nascere i tuoi pulcini?” Un contadino abbronzato annuì dal suo posto in fondo “Ebbene non c’è più. E’ morta” Cercò con gli occhi tra la folla “Chiara, hai presente la ragazza che voleva imparare tutti i nomi dei fiori?Defunta.” continuò  a chiamarli per nome “Michele, Arturo, Ciccio e tutti gli altri ricordate la Nanny che si arrabbiava come un…” “Come un turco” la precedette Michele annuendo e sorridendo al pensiero “…quando perdeva a scopone?” concluse Nanny “Adios. Kaput.” E fece un gesto definitivo con le mani. “ Da oggi nulla mi interesserà più, nulla mi farà gioire veramente. Non riderò mai più di gusto. Prego Maestro.” Nanny fece un cenno a uno spilungone sulla quarantina che era in piedi alla destra del tavolo su cui si era issata Nanny. Quello, pronto, iniziò a suonare con l’armonica a bocca una lamentosa melodia, “Attacchi, Nonna.” Disse quindi Nanny a una vecchissima donna, fragile come una foglia secca. Quella si alzò tremante, si mise al centro tra il piccolo palco e le sedie e iniziò a cantare con una voce piccola e tremolante Perché, mammina, si soffre sempre d’inverno. In paese era famosa da almeno dieci lustri come esecutrice di Perché mammina si soffre sempre d’inverno. Nanny chiuse gli occhi e stette immobile fino alla fine della performance. Tra il pubblico c’era chi non ce la faceva più a trattenersi e ogni tanto si innescavano a catena attacchi di risa convulse. Di quelle che non riesci a smettere, che si concludono con le lacrime. Era la scena tragica più comica che si fosse mai vista.
Gli artisti continuavano imperterriti la loro esecuzione, Nanny aveva sempre gli occhi chiusi e una espressione dolorosa. La poderosa Signora Lenin, così chiamata da tempo immemorabile, ex sessantottina inaffondabile, decise che era tempo di sgattaiolare via e fumarsi la sua canna pomeridiana. La Signora Lenin era sempre provvista di canne in gran quantità e i ragazzi, quelli più ribelli, filonavano la scuola per andare a fumare da lei, a patto, però, che stessero a sentire tutti i suoi racconti di quando militava nel partito e si era quasi unita alla lotta armata. La donnona accese lo spinello. Il fumo danzò allegramente e salì verso l’alto e in alto decise di arrestarsi sotto il naso di Nanny che annusò lo strano odore e fu pervasa da un certo benessere. Man mano che la canna si consumava le espressioni della Signora Lenin e di Nanny diventarono sempre più serafiche e serene. La ragazzina aprì gli occhi e la bocca in un gran sorriso e scoppiò a ridere. Rise tanto e tanto forte che si piegò in due e dovette tenersi la pancia e le vennero le lacrime agli occhi. La dolente melodia si interruppe di botto e gli ispirati esecutori si guardarono perplessi e un po’ piccati. L’ilarità generale era ormai incontenibile e aumentò ancora quando scorsero la Signora Lenin accoccolata dietro il tavolo sotto il suo fumo scuro e capirono ciò che era successo.  Le risate produssero un tale boato che gli uccelli posati sugli alberelli della piazza volarono via. C’era gente che ululava dal ridere, crisi respiratorie, persone che cadevano dalle sedie e non lo sentivano neanche, come anestetizzate dalle risate. Tutto questo durò a lungo.

Quando infine tutti si furono calmati, ritendendosi ormai sciolti dal lutto, si avviarono al buffet chiacchierando allegramente e trattenendo qualche scampolo di risata. L’atmosfera era quella da festa del Patrono. Quanto a Nanny, quando fu finito l’effetto esilarante del fumo, tornò cupa, se possibile ancor più cupa di prima e rimase per qualche minuto a fissare le sedie vuote davanti a sé. Poi ridiscese lentamente con espressione truce. Annamaria che era stata l’unica a non aver mai nemmeno sorriso, le si avvicinò comprensiva. Lei la capiva, ci era già passata. Nanny alzò gli occhi sconsolati a guardarla e disse “ Io ho provato a dirglielo. Lo hai visto. Ho provato a dirgli che sono cresciuta. Lo faccio per loro, sai. Sai quanto si dispiaceranno quando non mi troveranno più, non mi capiranno più…” Annamaria annuì seria. Nanny scosse la testa “Succede tutte le volte, uno cerca di prepararli, di avvisarli… e loro non capiscono mai.”

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