venerdì 11 novembre 2016

Hey, that's no way to say goodbye

Io Leonard Cohen l’ho scoperto attraverso Fabrizio De Andrè. De Andrè aveva tradotto tre sue canzoni, Nancy, Suzanne e Joan of Arc, in maniera bella rispettosa grata, da ogni verso filtrava la stima che aveva di lui e l’amore per quello che stava maneggiando.
Sono andata a scoprire chi avesse incantato tanto l’uomo che da sempre mi incantava con le sue di canzoni. Ed è successo qualcosa. Non so spiegare perché le canzoni di Leonard Cohen mi siano entrate da subito dentro, annidandosi nella mia testa, come tappezzandone le pareti. Avevano un ritmo che si conformava perfettamente e naturalmente al mio. Avrò avuto diciannove anni allora. Quelle canzoni mi affascinavano e mi dicevano: abbiamo qualcosa di tuo, scopri cos’è. 
Le ho ascoltate per nove anni, continuamente. Sono diventate la colonna sonora della mia scrittura. L’unica musica con cui da sempre sono riuscita a scrivere. 
Ho sempre pensato di voler fare con la scrittura quello che Cohen faceva con le canzoni. Anno dopo anno, inconsapevolmente, ho tentato di scrivere letteratura come lui scriveva musica e versi. Non ci sono riuscita, naturalmente. Ma gli sono grata profondamente per avermi dato il desiderio di provare. Gli sono grata profondamente per tutte quelle mie note interiori che ha saputo toccare con la sua voce. Gli sono grata per ogni canzone che tengo riposta nella mente sotto la dicitura di uno stato d’animo e quando voglio tornare a provarlo, mi basta aprire quel cassettino, mi basta riascoltarla per recuperarlo. Gli sono grata per come ha silenziosamente conformato la mia anima in questi nove anni. Gli sono grata per quei pezzi di vita che mi restituisce ogni volta che ascolto certe sue canzoni. Gli sono grata per avermi dato la voglia di fare per altri quello che lui ha fatto con me. Gli sono grata per quello che ho immaginato fosse lui, per tutti i mondi fasulli che ho creato intorno alle sue canzoni, per avermi consegnato una chiave per tornare alla me diciannovenne, ventunenne, venticinquenne, ogni volta che voglio, che ne sento il bisogno. Gli sono grata per il modo in cui ha raccontato le persone della sua vita, per la bellezza che ha donato loro, per come le ha trasfigurate, Suzanne, Nancy, Janis, l’amico di Famous blue raincoat, le puttane senza nome di Sisters of Mercy, perfino la disperazione reale e umana di una donna vissuta cinquecento anni prima. 
Gli sono grata e glielo vorrei poter esprimere, vorrei scrivere per lui una canzone bellissima come faceva lui così che tutti ascoltandola penserebbero: deve essere stato una persona eccezionale per far provare tutto questo ad un altro essere umano.
Non so scrivere canzoni, posso scrivere solo un addio e un grazie per avermi restituito in questa vita qualcosa di mio che non sapevo neanche mi appartenesse.

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