mercoledì 2 settembre 2015

Genesi di un timido esibizionista

2011 - Scambio epistolare con una scrittrice

Io nella scrittura non sono forte. Non mi sento sicura. Per questo non riesco a condividere i miei pensieri. Me la chiudo gelosamente dentro come una malattia di quelle che fanno compassione e non è per orgoglio credimi, è per debolezza. E' che la scrittura è qualcosa di troppo interno, mi pare quasi indecoroso andare in giro a mostrarla agli altri. In ogni caso non sono una persona aperta, se no credo non scriverei, non mi parrebbe essenziale. Qui forse sta la differenza nel nostro rapporto con la scrittura. La tua mi sembra sentita, sofferente, vibrante come un’umanità disperata che sta combattendo per qualcosa di vitale e tu mi sembri un leader pietoso che soffre con ognuno dei suoi seguaci ma continua a mandarli avanti. C’è questa forza trascinante nelle tue frasi che mi ipnotizza. La mia truppa invece, i miei soldati, non hanno fiducia nel leader. Anzi lui ha abdicato, li abbandona. Anzi si mischia alla folla e se vedesse un altro con la stoffa del leader gli darebbe il potere senza colpo di stato. E’ un vigliacco. Però una qualità ce l’ha, è buono, profondamente, totalmente buono. Il leader pietoso è giusto. Ma la giustizia per perseguire i suoi alti fini non può non sacrificare qualcuno, foss’anche il più schifoso, inutile, malvagio degli esseri. Ecco, il leader fuggitivo non ce la fa, non ce la fa neppure a volere il male dei suoi nemici, non riesce a volere morto chi lo ucciderebbe senza esitare. Perché prova troppa pena per l’uomo per il solo fatto che è uomo, e già questo dovrebbe bastare a esentarlo da qualsiasi altra disgrazia. E in più vede sé stesso in ogni uomo che gli è davanti e non riesce a contraddirlo, a smentirlo o a procurargli dolore neppure a fin di bene, neppure se riconosce che è necessario, preferisce lasciar fare ad altri. Però vedendo sé stesso in ognuno, si nega il piacere e il rischio di vedere gli altri e si illude di essere magnanimo e democratico, di riconoscere e rispettare tutte le altre nature e opinioni. Ma sotto sotto le sfugge e le nega. E così si nega anche il piacere di condividere le proprie riflessioni perché pensa che gli altri, in fondo, non possano non conoscerle. E' un vigliacco egocentrico.


2012 - Testo per l'ammissione a un workshop



Sono le due del mattino della fine di Marzo, Salerno è calda e ha un buon odore. Io torno a scrivere dopo molto silenzio. Mi hanno detto che ho le occhiaie più profonde e io mi sento più pesante e più leggera senza la mia scrittura.
Avevo quattro anni quando ho iniziato, poi ne avevo dodici e sedici e ventiquattro e ancora scrivo. Ti ho sempre detto che volevo diventare uno scrittore, ora ho capito che in buona parte sono diventata scrittura. Molta bellezza, domande, amori, dubbi della mia vita hanno avuto pelle e anima solo di carta e di penna. Non importa che non si siano mai staccati, che non siano andati per il mondo in carne e sangue. Se era questo l’unico modo di averli, allora va bene.
Ti ho detto che gli scrittori sono dei timidi smaliziati, dei vigliacchi esibizionisti, che vanno gridando eccomi al mondo e poi finiscono sempre per vedersela col proprio senso del pudore. Ti dirò di più, gli scrittori sono degli handicappati, sono nati senza un organo fondamentale, senza la capacità di adeguarsi al mondo o di adeguarlo a sé e hanno bisogno di questa protesi che è la scrittura per farci passare tutto attraverso e per quella via farlo entrare dentro di loro.
Mi chiedi se mi manca una maggiore naturalezza, un contatto, un rapporto filiale con la realtà. Mi è mancato, ho provato a catturare le altre persone, a fissarle così come le vedevo e le sentivo in un momento eterno, mio, sempre lì per me, dove nessuno me le avrebbe potute strappare, nessuno, nemmeno loro stesse avrebbero potuto strapparsi. L’hanno fatto. Hanno lasciato anche quelle pagine e sono andate via. Le ho cercate, lette e rilette, ma non c’erano più. E ho capito che dovevo restare da sola. Che la scrittura era un modo per restare sola con me stessa.
Mi hai detto tante volte che la scrittura è condivisione, di metterla al mondo. Ora eccomi, sono pronta. Ma non sarò io a metterla al mondo, è lei che metterà al mondo me. E’ così, penso che sia così, accadrà che uscirò io da lei e soffrirò e poi, chissà, aprirò gli occhi. Non li apriamo tutti gli occhi?
Non preoccuparti per la mia mente o per il mio cuore, sono di sangue e umori, vivono da anni e secoli, sono nati con la natura e moriranno con naturalezza, preoccupati per me, per qualsiasi cosa sono io dentro questo corpo che è sempre lo stesso. Preoccupati per me, augurami di trovarmi dentro quella massa di cellule, augura anzi di conservarmi, perché tutti dicono trova te stesso ed io ho deciso, semplicemente, di aspettarmi.


2013 - Da una email


Non so se ho scelto di scrivere e se l'ho fatto non saprei dire come. E' che scrivere è qualcosa che non saprei come sostituire. Forse è questa la definizione di necessario. Io scrivo per necessità, è l'unico modo che ho per arrivare a un luogo scuro, un grumo di sconosciuto, che è in me e che non saprei ritrovare per nessun'altra strada.

Non so se riuscirò mai a scrivere un romanzo lungo o altri racconti brevi. Forse non m'importa neanche saperlo. Io voglio sapere di poter essere più profonda di così. Che tutto possa essere più. Io voglio vederci quell’umanità strana e persa in una multinazionale di mobili svedesi e voglio scoprire quanto possa essere bello essere letti da una persona capace di emozionarsi anche senza caffè. La letteratura è una vita e un più.


2014 - Da una conversazione con il mio mentore e critico letterario


Non sono una scrittrice. Non manipolo le parole, non le so limare, non so vederle oggettivamente, in maniera distaccata, come fossero materiale grezzo. Le parole per me sono state sempre dense di significati che mi sfuggivano. Per questo le inseguo, per questo le ho inseguite, perché mi sfuggono. E credo in loro, profondamente, perdutamente, anche se mi tradiscono sempre.


2015 - Per l'introduzione a un blog. Il mio. 


E' un riflesso condizionato nei confronti della vita. Woody Allen diceva: Leggo per legittima difesa. Io dico senza ombra di dubbio: Scrivo per legittima difesa. 
Legittima difesa da me, da voi, dagli altri, dalla vita, dal prendersi troppo sul serio, dal non prendere nulla sul serio, dal tempo che passa, dalla memoria che scolora, dalla perdita, dall'accumulo, dalle nuove me che premono per sostituirsi alle vecchie, dalle vecchie deboli e morenti che vogliono ancora raccontare prima di dimenticare e dimenticarsi, dal dolore di non essere quello che avrei voluto o potuto, dalla gioia di non essere quello che temevo di poter diventare, dalla inspiegabile pressione dell'arte, della creazione, dall'idea a volte di stare vivendo per qualcos'altro, di stare vivendo per raccontarmelo e poi tornare a rileggerlo con calma, una volta uscita da questa vita, e finalmente capire qualcosa di tutto quello che è stato. 
Scrivo perché tutto questo non so gridarlo agli altri miei esseri umani. Altrimenti starei gridando, starei gridando da tempo senza mai smettere. La scrittura è il mio grido infinito.

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