Mi hanno chiesto chi
fossi. Io ho risposto: quando?
Sono e sono stata
moltissime cose. Ma non ho capito ancora chi è me. Mi sento il luogo di approdo
di molti esseri di passaggio e mi diverto ad accoglierli e salutarli. Ogni
tanto dimenticano qualcosa che tengo lì, per loro. Sono contenta se tornano a
riprenderselo e soggiornano ancora un po’.
Ho conosciuto uomini e
donne nella mia strada. Alcuni sono rimasti sempre prepotentemente loro stessi,
ma la maggior parte di loro, invece, era cangiante e li vedevo evolversi e
mutare ad ogni passo.
C’è un ordine e un
insieme in questo cambiamento. Noi siamo l’insieme che contiene i nostri
cambiamenti. Alcuni insiemi esplodono, difficile rattoppare un insieme esploso.
Lungo, faticoso, doloroso. Ma si può fare. Solo che raramente conterrà di nuovo
qualcosa di quello che era in lui quando è esploso.
Di queste anime esplose io sento l’odore, il
puzzo di bruciato che si portano dietro. Ma anche la forza, una forza febbrile,
di chi ha superato un tabù e gli è esplosa pure la paura.
Di queste anime da
tabula rasa io ho profondo rispetto, compiono manualmente e coscienziosamente
un processo che alla maggior parte degli esseri umani l’esperienza e la vita
hanno realizzato dentro all’insaputa di loro, con un lavorio cieco e
sotterraneo.
Io non esplodo. La mia
anima procede per accumulazione. Il sistema razionale del mio insieme è
crollato molto tempo fa. Lo immagino come una di quelle case dei vecchi, dove
le cose si accumulano anno per anno, raccolte da loro stessi o portate dalle
persone e dalla vita, e però non si ha più la forza né la voglia di sistemarle
e catalogarle, tenerle o gettarle. Ti circondano e ti fanno compagnia, ci
riconosci tante diverse fasi della tua esistenza, ma rendono l’aria pesante,
ogni cosa pesante. E dopo un po’ tutto odora di polvere e di legno vecchio.
A volte vorrei che il
mio insieme esplodesse e tutto volasse via fuori, come da un finestrino rotto
di un aereo in volo. Vorrei che passasse aria, tanta aria, e vorrei guardare le
cose della mia anima franate sul terreno di sotto, sparse pezzo pezzo su tutto
il cammino, mentre io avanzo leggera e più sono leggera e più acquisto
velocità.
Se non fosse che temo
la depressurizzazione e lo scompenso singultoso che provocherebbe questa
esplosione.
Se non fosse che poi sarei vuota
all’improvviso e il vuoto mi fa paura.
E allora ho pensato di
regalare queste cose. Regalarle a tutti. A chi vuole. Poco alla volta,
dedicando il giusto tempo ad ognuna, tenendo nella testa un’ultima volta il
ricordo e le sensazioni che portano con sé, come un sorso di vino che si
trattiene un momento in bocca prima di lasciarlo cadere in gola.
Forse quello che faccio
con la scrittura è proprio questo: un lavoro di svuotamento, per fare cambiare
aria, per fare spazio alle cose nuove.
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