Clerici
vagantes
Portami
a casa.
Cos’è casa?
Casa
è il posto dove te ne puoi stare dentro te stesso
senza che nessuno tenti di cavartene fuori e
mandarti via.
Lo
sai che non posso.
Perché?
Perché
sei morto e di tuo non ho neanche il corpo.
Per
Giulio Regeni
A chi apparteniamo?
Allo Stato? Alla società? Alla famiglia? Alle “formazioni sociali che
permettono il pieno sviluppo della nostra personalità”?
Niente ci appartiene e
quindi non apparteniamo a niente. Non abbiamo più crediti verso nessuno. Tutti
ci devono qualcosa. Qualcosa che, forse non volendolo, ci hanno sottratto.
Siamo un popolo di
senza patria e senza radici. Un popolo apolide e sotterraneo che si incontra,
si perde, si ritrova, si riconosce. Sosta e poi riparte. Riparte desiderando
sostare. Cosa cerca? Un posto da chiamare casa. Ma chi l’ha persa la casa ce l’ha
stampata dentro e nessun’altra può adattarsi alla sua forma.
Siamo i profughi del
sapere, i nuovi chierici vaganti con gli zaini strappati e gli affitti stanchi.
Siamo dottorandi, assegnisti, post-doc, ricercatori. Siamo le generazioni
perdute dell’accademia, quelle che la desidereranno per tutta la vita e non
potranno che girarle affannosamente intorno come scarni cani affamati.
Il mondo ha rinunciato
a noi. Centinaia, migliaia di menti lasciate fuori. Che cosa avremmo potuto
dargli? Non lo sapremo mai. Che cosa ha perso l’umanità futura? Non
possiamo immaginarlo.
Se c’è un disegno del
fato nelle cose umane, il fato ha scelto di non scrivere lì col nostro
inchiostro. Siamo punti muti, pagine bianche. Non lasceremo nulla su quella
traccia.
Diventeremo avvocati,
bancari, impiegati aziendali. Nessuno ci restituirà i mezzi per mettere a
frutto le nostre intuizioni. Le idee che forse un qualche dio illuminato aveva
inserito in nuce nella nostra testa, nostra e di nessun altro, seccheranno
morte e friabili sul ramo secco delle nostre vite di ripiego.
Ma noi intanto
vaghiamo, come un popolo senza patria, alla ricerca di chi ci dica “resta”. Ma
raramente accade. Il nostro destino è il movimento e noi siamo il movimento del
mondo.
Ma è un mondo sempre
più chiuso, ci si stringe intorno alle caviglie. Alzano muri e barriere di
tutti i tipi, materiali e immateriali, fatte di stabilità negata o visti sottratti.
Muri trasparenti di appropriazione e conservazione.
Ci negate l’accesso al
vostro mondo, noi siamo gli straccioni dell’anima, gli accattoni della cultura.
Come se non vi servissimo.
Come se non vi servisse
quello che abbiamo noi, che è unico e nessuno tornerà a portarvelo.
A volte moriamo. Perché
è un mondo incattivito quello in cui ci fate girare. L’avete imbizzarrito voi.
Ma voi non dovete più viaggiare. Lo facciamo noi al vostro posto, i manovali
della sapienza.
C’è sempre uno di noi
che crepa quando succede qualcosa di brutto, un attentato un incidente. Perché
noi siamo sparsi ovunque, come manciate di sale sulla strada per evitare che
ghiacci.
Dovevamo essere nodi e
raccordi, dovevamo avvicinare e unire. E invece non siamo che dei rinnegati. Dei
rifiutati. E ci portiamo in cuore il senso dell’abbandono che è un buco nero.
Come fa ad unire uno che ha il buco nero in corpo?
Dateci una casa. Fateci
entrare. Fateci entrare col camino spento. Il fuoco lo portiamo noi.
Ciao, hai dato voce a quello che penso, sento, vivo. Complimenti.
RispondiEliminaGrazie. Lo stesso è anche per me, purtroppo, e per molte delle persone che ho intorno.
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